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Le specie arboree a Zola Predosa

Panoramica sulle principali specie arboree di Zola Predosa.

Nel 1996 il Comune di Zola Predosa ha commissionato il censimento di alberi, filari e zone naturalistiche di pregio. Questo censimento ha riguardato tutti i 37,5 Kmq del territorio comunale con lo scopo di approfondire la conoscenza del territorio e delle sue caratteristiche naturali.

La maggior parte degli alberi censiti e individuati sono proprietà di privati, ed i testi che seguono (di cui è autore Gabriele Mignardi) mirano ad evidenziarne anche l'aspetto artistico ed estetico.

Di seguito è riportata una panoramica sulle principali specie arboree di Zola Predosa. 

I Grandi Cipressi di Torre Cà Bianca

Nell'antico percorso che da Ponte Ronca prende verso Molinetti sull'erta cresta che si eleva fra le vallecole formate dal Rio Menini e la Ghironda, avvicinandosi progressivamente al confine con l'antica comunità di San Martino in Casola si incrociano i doppi filari di cipressi di Torre Cà Bianca; un tempo posseduto dal convento delle suore di San Giovanni Battista, oggi fiorente tenuta agricola con vigneti estesi e ben esposti. Come gli Isolani, che nel vicino palazzo di Montevecchio crearono per delizia e comodo i lunghi viali di cipressi neri, anche le monache, forse per la serena quiete della meditazione, piantarono lungo la pubblica via e nelle pertinenze agricole della casa-torre questa sorprendente e oggi plurisecolare successione di cipressi che conducevano anche alla sorgente d'acqua verso San Martino. Dei 35 che ho contato, alcuni sono secchi o quasi, ma il maggior numero è in ottima salute. Su tutti spiccano gli esemplari verso valle che raggiungono i 20 metri di altezza e una circonferenza del tronco prima delle basse ramificazioni spesso superiore ai 4 metri. Di dimensioni simili (3,81 m di circonferenza e 19,20 m l'altezza) è il cipresso più imponente lungo la via di Montevecchio. Si tratta quindi di esemplari di vetustà e imponenza insolita anche se a ben notare, la presenza dei cipressi sulle nostre colline non è affatto infrequente. Ricordo solo che il vicino lunghissimo filare di accesso a Cà Rossa risulta anche tutelato dalla Regione, lungo la via Predosa una lapide ricorda che quei cipressi ispirarono Ottorino Respighi; e poi il viale dell'Abbazia, quelli del cimitero, i lunghi filari di via Leopardi sopra Riale o l'altro filare di Duecentola.

Il Cedro Deodora

Forse un legame misterioso accomuna il destino di decadenza in una residenza che fu bella, ricca e circondata da un parco incantato.
Insieme all'architettura ottocentesca di villa Edvige stiamo infatti pian piano perdendo anche esemplari monumentali delle piante ornamentali del ricco giardino con il disegno di filari, siepi, grotte e viali. Alcuni meritori recenti interventi hanno cercato di porre rimedio all'abbandono della villa e del suo parco secolare cresciuto insieme alle trasformazioni di una residenza che conserva le vestigia cinquecentesche delle prime case dei Paltroni, famiglia di antica ed estinta nobiltà bolognese. Restano certamente esemplari di pregio e di grande dimensione ma dobbiamo ricordare che già agli inizi degli anni ottanta il Comune fu costretto all'abbattimento dell'altro monumentale cedro che da quasi 100 anni viveva in quel parco. Dal suo tronco e dai suoi rami furono ricavate le spesse assi disposte lungo il Percorso Vita nei luoghi di sosta e di ristoro a formare comode panchine e lunghi tavoli. E dobbiamo anche ricordare che dalla caduta rovinosa di un enorme ippocastano si originò la prima grave falla nel tetto della villa. Oggi a dominare incontrastato su quercie, bossi, olmi siberiani, cercis e noccioli è la superba chioma di questo cedro che supera in altezza i 32 metri con una circonferenza del tronco di 4 metri e 63 centimetri.

I tre Mandorli

Ogni anno, immancabile, un servizio giornalistico annuncia la primavera con belle immagini dei mandorli fioriti nel sud Italia. Ma ogni anno, senza attendere la programmazione televisiva ed incuranti della sfavorevole collocazione climatica, questi tre sorprendenti esemplari di mandorlo (Prunus amygdalus) piantati nella calda sponda della prima collina zolese mostrano l'arrivo della nuova stagione con una copiosa fioritura rosata. Fu Guerrino Pozzi, colono dei Farolfi e poi dei Comani, ad allevare tre polloni dai ceppi di un ampio frutteto tagliato all'inizio degli anni Cinquanta per fare posto ad altre colture. Anche la vigna di Barbera "Calcagno" impiantata nel 1936 dovette rassegnarsi alle esigenze della agricoltura estensiva, ma quei tre polloni furono salvati e crescendo velocemente offrirono generosi frutti autunnali distinti in mandorle amare e dolci. Anche quando i Pozzi cessarono dal contratto di colonia e il terreno fu lavorato direttamente dall'impresa dei Comani quei tre mandorli sono stati lasciati ad ingentilire un paesaggio collinare nel quale si alternano i fiori e i frutti del grano, del girasole, delle bietole e del mais. Come sulla vicina Bardona, era prevista anche qui un'espansione edilizia cui si rinunciò forse per reazione allo scempio paesaggistico; insime alla collina si sono salvati anche i mandorli che oggi patiscono forse alcuni inverni rigidi o qualche aratura troppo vicina. Pur non essendo monumentali o secolari sono alberi preziosi perchè per vederne altri bisogna arrivare a Crespellano, presso il complesso di San Francesco oppure salire verso il vecchio territorio di Monte San Pietro nei pressi di alcune antiche case contadine.

I Ciliegi del Marchese

Il filare di ciliegi nella campagna fra Lavino e Zola li fece piantare il Marchese Theodoli nel 1947. I contadini se lo ricordano bene sia perchè in quegli anni nessuno pensava a piantare frutta (che aveva un mercato limitatissimo) sia perchè, a memoria d'uomo, nella tenuta degli Albergati e poi dei Calcagno non si producevano ciliegie. Ma le piantate di viti e olmi erano state decimate dalla fillossera ed era naturale, dopo la guerra, tentare nei nuovi impianti nuove associazioni di piante come si erano viste con successo nelle ricche campagne intorno a Bazzano, Spilamberto e Vignola. L'intraprendenza (e la necessità) portarono quindi i contadini a sperimentare l'agricoltura dei "tre strati" con il ciliegio a dominare un più basso livello di viti o meli o susini e quindi gli ortaggi o i legumi nello strato inferiore.. Questo sistema allora si diffuse ampiamente anche se negli ultimi decenni è stato abbandonato per forme più razionali e adeguate alla progressiva meccanizzazione agricola così che oggi i ciliegi di alto fusto non li pianta più nessuno e chi li ha li toglie. Questo filare è invece così ancora oggi con i diciotto grandi esemplari di ciliegio a sostenere la vite e gli altri frutti. In primavera è un'esplosione di fiori e di colori aperta dal ciliegio di testa (di varietà anella) che ha una chioma che supera i 50 mq di copertura su un tronco di due metri e mezzo di circonferenza. Più a valle una pianta di moretta alta quasi 14 metri e ancora verso nord l'esemplare più dalla notevolissima circonferenza di 2 metri e 90 centimetri.

La grande Farnia

Si racconta che la passeggiata del conte Paolo Orsi-Mangelli, in una rigida mattinata invernale alla fine degli anni Trenta, venisse turbata dal lavoro di alcuni contadini intenti all'abbattimento delle querce al confine con la sua proprietà. Alla sua decisione di acquistare i terreni confinanti per salvare quei magnifici filari da farnie dobbiamo la salvezza di gran parte dei 180 esemplari di Quercus robur oggi tutelati oltre che dalla dedizione degli eredi ,anche dalla legge regionale. In questa terra di pianura dalla quale l'impegno (e la fame) degli uomini non riuscì mai a cavare niente di più dell' erba da pascolo c'era un antichissimo oratorio con l'immagine (venerata dai ricchi e dai poveri) della Madonna. Oggi non sappiamo dove sia finita quell'immagine e anche di quell'oratorio sono rimaste poche tracce nel vecchio borgo. Ha avuto più fortuna l'idea di piantare, eravamo forse all'inizio dell'Ottocento, lunghi filari di questa tipica quercia di pianura così generosa di ghiande per i maiali (ma i contadini della zona non dimenticano di averne spesso macinate nel povero pane nero degli anni di carestia) e di legno per i focolari. La più imponente sta proprio lungo la Ghironda, accanto ai portoni di accesso alle scuderie e ai pascoli delimitati dai bianchi paddok. Ha una circonferenza che supera (alla convenzionale misura di m 1,20 da terra) i 4,20 metri e l'altezza approssimativa di 35 metri. In questo sorprendente habitat diviso fra Zola ed Anzola gli Orsi-Mangelli (che subentrarono ai Tacconi e ai Chantré nel possesso di questa tenuta) allevano preziosi cavalli da corsa cui ben si confanno le magnifiche scuderie edificate forse intorno al 1930 nell'identico stile bolognese dell'Arcoveggio.

Il Vecchio Gelso

Quando il fattore di Francesco Albergati Capacelli ebbe l'incarico di enumerare, eravamo nel 1752, tutti gli alberi della tenuta zolese, il podere "Poggio Pollini" (sulle colline della Bardona verso Zola Vecchia) contava 48 querce e 90 querciole, 20 olivi, 11 castagni, 10 frutti e 7 mori. Alla fine dell'Ottocento quel podere era dei Serrazanetti che vi piantarono la "vigna vecchia" di montuni, albana, vernaccia e uva ciocca. I prezzi della seta, e quindi la redditività della bachicoltura all'inizio del nuovo secolo crollarono inducendo tanti contadini ad abbattere i gelsi per sostituirli con più utili tutori delle viti. I Serrazanetti lasciarono però alcuni "mori", cioè gelsi , lungo la siepe di confine con la strada e sopratutto salvarono il monumentale esemplare che ancora oggi vegeta, pur con qualche acciacco, nel cortile della casa colonica. Nel 1937, erano i tempi dell'autarchia, una legge dello stato vietava di abbattere questi alberi nel contesto di un tentativo, vano, di risuscitare l'industria della seta. Ma poi gli abbattimenti ripresero e oggi conosciamo solo qualche esemplare di gelso in via Rigosa, Balzani e Monte Rocca oltre al notevole esemplare di via Maccaferri. Alcuni sono ancora allevati "a capitozzo" cioè sistematicamente potati dalle prime diramazioni per sfruttarne appieno la produttività in foglia e anche per ridurre l'effetto di copertura sulle colture sottostanti. Questo gelso invece è cresciuto liberamente così oggi forma una fitta ombra sostenuta dal possente tronco 3 metri e 82 centimetri di diametro per una altezza davvero considerevole di quasi 14 metri.

La Grande Roverella 

La strada ( e poi il sentiero) che dal borgo di Gessi conduce fino alla cima di Monte Capra passa accanto alla villa degli Emiliani offrendo a generazioni di escursionisti curiosi il ristoro della ricca ombra di questa monumentale roverella con l' inconfondibile sagoma ben visibile anche dalla pianura. Questa quercia tipica della collina detiene il non insignificante primato della pianta più imponente di tutto il comune contendendo i primi posti anche in una (incompleta) classifica regionale. La circonferenza del tronco (alla solita altezza di m 1,20 da terra) supera infatti i 4,50 metri con una altezza che raggiunge quasi i 21 metri. Non sorprende che un esemplare monumentale sia cresciuto proprio accanto ad un insediamento che nel nome (Duecentola) ricorda il sito abitato già in età romana come attestano anche vestigia minori frequentemente affioranti nei vicini campi arati. L'età di questa pianta è stimabile fra i 350 e i 400 anni. Longevità segnata da ferite ed amputazioni che le conferiscono un profilo sofferto accentuato anche di recente dagli effetti della nevicata tardiva il 18 aprile 1991. La villa, di recente oggetto di un completo restauro, risulta unita ad un piccolo oratorio ed è documentata in queste forme sin dalla metà del Settecento. Sorge a breve distanza dal Podere Fruga dove furono fatti ritrovamenti di età etrusca ed offre uno splendido panorama sulla vallata dominata dallo sperone roccioso sul quale sorgeva l'antico castello di Gesso.

Il Pioppo di Villa Magnani

Sul suolo fresco e ricco d'acqua della pianura delle Tombe vegeta un superbo esemplare di pioppo dalle dimensioni che risultano sorprendenti nonostante sia collocato nel contesto di un parco costituito da alberi secolari che non ne esaltano le proporzioni. È infatti alto quasi 31 metri ed ha una circonferenza di 7 metri e due centimetri (come sempre misurata a 1,2 m dal colletto). Con l'incertezza che deriva dalla impossibilità di osservare da vicino le foglie (la ramificazione inizia a parecchi metri da terra) mi pare si tratti genericamente di un pioppo bianco per la caratteristica colorazione e fessurazione della corteccia e per la tonalità della chioma grigio chiara. Le foglie di questa varietà sono infatti verdi e lucide nella parte superiore e opache con peluria bianca nella parte inferiore. A dispetto della dimensione monumentale probabilmente l'età non è ancora secolare. Il pioppo infatti ha una notevole velocità di accrescimento e qui è collocato favorevolmente vicino al Lavino e al vecchio canale del mulino di Lavino di Mezzo. In questa zona poi le falde sono piuttosto alte anche per il cambio di pendenza del fiume e i periodici ristagni di acqua osservabili sia nel parco sia nelle cantine della villa cinquecentesca che fu dei Magnani. Il pioppo (genere Populus) è pianta autoctona, caratteristica delle foreste planiziali che fin dall'età preistorica ricoprivano tutta la nostra regione. Le sue caratteristiche di veloce accrescimento e facile riproduzione ne fanno pianta diffusissima in particolar modo vicino ai corsi d'acqua. Un altro motivo di notevole interesse di questo pioppo risiede nel particolarissimo portamento determinato dalla bipartizione, a circa 1,6 metri da terra, di due tronchi di uguale circonferenza (intorno ai 4 metri) progressivamente divergenti. In ragione di questa conformazione che rischierebbe di provocare la spaccatura della base sono stati provvidenzialmente messi due tiranti che impediscono l'ulteriore divaricazione. Questo pioppo è collocato in un giardino che meriterebbe molte osservazioni sia per la presenza di un esemplare isolato di quercia-farnia al centro del giardino che ha la notevolissima circonferenza di mt.5,20. Il complesso del giardino risulta oggi molto diverso dalla configurazione storica alla quale pare abbia contribuito anche il conte di Sambuy (il progettista dei Giardini Margherita di Bologna) a causa dell'abbattimento di numerosissime piante da parte dei tedeschi occupanti la villa nell'ultimo conflitto mondiale. Fra i pioppi bianchi è da segnalare anche quello posto lungo la via Bazzanese a fianco del Motel Zola. 

Il Bagolaro

Il bagolaro, detto anche spaccasassi e, in dialetto, "parpìgnàn" o "bàlutèin" è una pianta piuttosto diffusa nelle nostre campagne perchè fu spesso usato (come l'acero campestre, l'olmo, il gelso e il pioppo) come sostegno vivo ai filari di vite. Oggi le famose "piantate alla bolognese" che introdussero i romani nelle nostre campagne sono sempre più rare ed è quindi sempre meno frequente vedere questa varietà arborea che ha spesso seguito il destino dei filari di vite cui veniva "maritata". Si sono salvati due bellissimi filari nei terreni comunali di via Roma dove purtroppo la pratica della potatura drastica che aveva lo scopo di ridurre l'ombreggiamento sulla vite ne ha determinato un portamento innaturale.
Questo bagolaro cresciuto nell'ambiente termofilo delle pendici di monte del Castello ai Gessi è invece cresciuto liberamente con una chioma ampia ed armoniosa. È alto quasi 14 metri con il diametro del tronco che supera i due metri. Non si tratta quindi di un esemplare monumentale anche se per la sua collocazione, le caratteristiche della specie e sulla base delle testimonianze orali possiamo attribuirgli un'età prossima ai 200 anni. Lo ricordano bene i Nanni, i gessaroli che si sono alternati per generazioni nel duro lavoro artigianale di cava, cottura e macina del gesso nel vicino nucleo protoindustriale che ancora conserva i forni di cottura. Questa pianta offriva loro il refrigerio dell'ombra e il dolce sapore dei frutti maturi. Oggi tutta quell'area di cava risulta abbandonata e forse pochi si ricordano di questo albero, eppure la grave carie che minaccia la stabilità e la vita stessa di questo bellissimo esemplare richiederebbe un pronto intervento.

Il Pioppo Grigio

Ci sono alberi che si salvano dagli eventi o dalle trasformazioni radicali di un ambiente per un caso (come è accaduto ai due platani di Villa Zanchini unici sopravvissuti dalla furia distruttrice dei tedeschi), o perchè ospitavano un'immagine sacra (come è accaduto ad una quercia del parco di una storica villa di collina dove tutti gli altri alberi furono abbattuti per fare legna) o per la fortunata coincidenza di rimanere catturata nel disegno di una lottizzazione relegata in una zona d'ombra che sarà la sua salvezza. Questo pare il destino fortunato dello splendido pioppo bianco salvato dalla grande urbanizzazione cresciuta con il Zola Motel e con la modifica del disegno stradale in questo cruciale nodo del Pilastrino. Piantato sulla linea di confine fra la tenuta dei Portoni Rossi (che prolungava il viale di accesso fin sulla Bazzanese attraversando l'attuale via Roma) e quella delle Quattro Torri, questo pioppo è cresciuto con una chioma armonica ed equilibrata che copre una superficie superiore a 60 metri quadrati su un tronco dalla circonferenza (alla solita altezza di 1metro e venti centimetri da terra) di 3,51 m ed una altezza che supera i 28 m. Il pioppo bianco non è essenza molto diffusa nelle nostre campagne e la presenza ripetuta nella vicina via Rigosa in terre che furono ugualmente dei Foresti e poi dei Socini, fa pensare all'ennesima manifestazione di passione per l'inserimento di nuove varietà dal quale è scaturita la particolarissima e fortunata combinazione di essenze nel parco della villa dei Portoni Rossi. Più tradizionale appare invece la composizione arborea del parco della antichissima villa detta delle Quattro Torri. Villa di cui si è già trattato sul lunario e documentata già alla fine del Cinquecento.

I Tassi

Alla coppia di tassi (taxus baccata L) disposti a decoro del più antico corpo del cimitero comunale, la tradizionale simbologia cristiana affida il compito di trasmettere il messaggio di speranza racchiuso nel doloroso evento della morte. Il tasso, dagli antichi ritenuto dotato di foglie velenose, era per questo considerato l'albero della morte e come tale usato nei riti funebri. All'essere sempreverde e alla straordinaria longevità si associò invece il riferimento simbolico all'immortalità. Ecco dunque il tasso albero della morte ma anche dell'immortalità. Non è perciò un caso trovarlo qui, in un cimitero o presso le chiese associato ad altre essenze sempreverdi come il bosso il cipresso, l'alloro... anch'essi matafora del destino immortale che attende i fedeli. La cura con la quale sono stati allevati e la protezione climatica apportata dai muri perimetrali ha favorito una crescita notevole di questi due esemplari che superano i 15 metri di altezza con una circonferenza (alla solita altezza di m 1,20 da terra) di 2 metri e 72 centimetri. Il tasso è un pregiato albero decorativo che in autunno produce carnose bacche rosse molto amate dagli uccelli. È presente in vari giardini storici come quello di Palazzo Albergati o di Villa Balzani; risulta anche spesso gradevolmente utilizzato per la grande versatilità dimostrata nell'arte topiaria. Uno sguardo complessivo al cimitero fa risaltare la felice integrazione fra l'architettura del verde e la stratificazione delle costruzioni e delle cappelle di famiglia fra le quali spicca il sobrio disegno della cappella Maccaferri progettata nel 1928 dall'architetto Camillo Saccenti. Bisogna augurarsi che una uguale attenzione alla progettazione del verde venga riservata alla nuova appendice appena aperta.

Il Cedro del Libano 

È un imponente cedro del Libano l'albero sempreverde che cresce accanto alla villa degli Albini (in passato fu dei Galiardi) nella via di Rigosa nella pianura occupata dagli insediamenti industriali verso Medola. La monumentalità della pianta è ben evidente anche se attenuata dalla presenza, nel medesimo parco, di importanti esemplari di cedri, tigli, farnie in coppia disposte nell'accesso laterale confinante con un bella corte contadina ancora in parte delimitata da una siepe di biancospino. La circonferenza del tronco, se misurato sotto la prima grande bassa diramazione, è di 7 metri e 20 centimetri. Alla "canonica" altezza di m 1,20 si riduce a "soli" 5 metri e 20 centimetri. L'altezza raggiunge i 27 metri. L'età è stimata in circa 150 anni: riconducibile cioè alla età della villa che reca, in una piccola lapide, la memoria dell'edificazione nell'anno 1832. La chioma è amplissima anche se l'albero ha subito varie amputazioni a seguito delle avversità atmosferiche e in particolare in occasione delle nevicate del 1933, 1983 e 1985. Durante l'occupazione tedesca la villa fu abitata dal comando di reparti meccanizzati che utilizzavano il cedro per nascondere ben tre carri armati "Tigre" dagli avvistamenti aerei. L'ultimo di questi carri lasciò la villa quando gli alleati erano già al Pilastrino e uscendo scardinò il cancello, sparò una cannonata verso i nemici fuggendo i colpi dell'immediata reazione. Il cedro assistette così al cambio di guardia nella villa: prima gli inglesi, poi i polacchi ed infine i marocchini insieme a tanti sfollati. Alla cura attenta degli Albini dobbiamo oggi il buon stato di salute dell'albero e il decoro della villa.

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pubblicato il 2018/08/28 14:36:00 GMT+2 ultima modifica 2018-08-28T14:37:04+02:00

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